Qualche sera fa su Rai3, Presa Diretta ha mandato in onda un interessante servizio dal titolo “Troppa carne a buon mercato”. La trasmissione che partiva da un’inchiesta sullo stato delle foreste amazzoniche e sulle cause della deforestazione di quelle aree, proseguiva proprio analizzando l’importazione di carne Brasiliana del nostro paese.
Abbiamo scoperto quindi che proprio l’Italia, è il PRIMO IMPORTATORE DI CARNE BRASILIANA tra i paesi europei (27.000 tonnellate/anno – secondo i dati Eurostat 2018).
Proprio così! Un’enorme mole di importazione di carne bovina dal Brasile, dove la razza bovina più diffusa è il Zebù, una tipica razza locale.
E dove va a finire questa carne importata?
Va a finire in mense, ristoranti, lavorazioni di trasformati, come prodotti surgelati, brodi, sughi, ragù e poi macinati, hamburger, ecc..
Per questi prodotti, a differenza del prodotto fresco, NON E’ OBBLIGATORIO indicare in etichetta provenienza e tracciabilità della carne.
Stessa cosa nella ristorazione, in Italia, a differenza di ciò che sta accadendo in alcuni paesi europei, non è d’obbligo indicare la provenienza della carne dei piatti presenti in menù…
E’ perché c’è questa massiccia importazione?
il motivo si riassume in una parola: PREZZO!
Infatti costa molto meno comprare carne dal Brasile che dalla propria filiera Italiana.
Prezzi molto, molto diversi e molto più contenuti.
Quindi rischiamo di perdere la filiera Italiana, perdiamo in produttività ed in qualità.
Anzichè adottare politiche efficaci a tutela delle nostre filiere si preferisce tagliare il problema e importare. Poi ci i dispiacciamo quando le nostre aziende chiudono e perdiamo lavoro, immagine, territorialità, ecc…
Un problema che investe anche alcune produzioni simbolo della nostra tradizione gastronomica… Il servizio tratta il caso della Bresaola Valtellina Igp (ne avevamo già parlato anche QUI) che viene prodotta in grande quantità anche con queste carni.
Infatti il disciplinare non specifica la provenienza della materia prima e che quindi può essere Italiano o di importazione.
Attenzione però il servizio (di cui metto il link) specifica che NON TUTTI LA PRODUCONO CON CARNE ESTERA, anzi!
Vi sono produttori che sottolineano il proprio lavoro di filiera Italiana, producendo e trasformando le proprie carni, certificando la filiera.
Provenienza della carne in etichetta? Si ma se è un preparato…allora non serve!
Anche Altro Consumo si è occupata di della questione provenienza della carne nei prodotti trasformati evidenziando che su un cospicuo campione di preparati prelevati in supermercati, solo una minima parte dichiarava l’origine del prodotto.
Riporto il link dell’articolo:
https://www.altroconsumo.it/alimentazione/fare-la-spesa/news/inchiesta-origine-carne
E allora perché questo capita? Com’è possibile?Non dovrebbe essere obbligatorio indicare la provenienza della carne dopo lo scandalo “Mucca Pazza”?
Semplice, basta un altro ingrediente diverso dalla carne presente nella preparazione anche in piccola quantità …può essere ad esempio anche un acido ascorbico… e il gioco è fatto.
Al di sotto del 99% di carne si può omettere l’origine. Basta un po’ di sale che faccia scendere la percentuale e siamo giunti al traguardo.
Nel servizio si portano ad esempio gli hamburger di provenienza industriale.
Se leggiamo gli ingredienti possiamo trovare fiocchi di patata, fibra vegetale, agrumi e anche il bambù!!
L’esempio positivo di Coalvi
Gli autori di “Presa Diretta” non si sono limitati alla denuncia ma hanno portato anche esempi postivi (evviva!) di chi lavora in modo opposto e subisce le conseguenze negative della massiccia importazione e delle regole che non tutelano abbastanza le produzioni Italiane.
E’ stato portato ad esempio il caso di Coalvi (consorzio tutela razza Piemontese) che ha fatto vedere tutta la propria filiera dall’allevamento fino alla vendita della carne.
Coalvi ha aperto le proprie porte ( e con orgoglio aggiungo!!), per far vedere tutta la propria filiera dalla stalla alla trasformazione. Perchè quando si agisce in un certo modo si è orgogliosi di mostrare il proprio lavoro.
Altri “grandi” non hanno accettato interviste, nemmeno da remoto o in video chat, limitandosi a comunicati scritti senza possibilità di confronto. Stili diversi, per quanto legittimi
Ed anche noi, nel nostro piccolo, proprio per tutelare i nostri consumatori abbiamo creato disciplinari sulle nostre filiere, perchè vogliamo dare sostanza e trasparenza a ciò che divulghiamo.
Che dire… ancora una volta tocca ribadirlo…
La battaglia del prezzo è una pratica che ormai dovrebbe essere stra-conosciuta anche al consumatore. Quando un prezzo è troppo basso, qualcuno all’interno della filiera ci ha perso qualcosa.